Tasselli di una fitta rete di rapporti e affari. Iscritti regolarmente in un libro paga. I quattro carabinieri arrestati a Sant’Antimo, nell’area Nord di Napoli, avevo dei ruoli ben definiti. Secondo quanto riporta il quotidiano IlMattino di Napoli, dalle carte spulciate dagli inquirenti erano soci occulti della camorra. Compravano a basso costo villette abusive, poi rivendute con ampio margine di guadagno grazie alle presunte amicizie con il boss Pasquale Puca. Avrebbero ricevuto in regalo capretti, cesti di pesce, dolci artigianali e altri regali. Secondo la DDA di Napoli sono otto i carabinieri indagati per collusione con il clan Puca. Indagini sul gruppo di lavoro che avrebbe dovuto fronteggiare abusi edilizi, traffici illeciti di rifiuti e che avrebbe dovuto contrastare il clan del boss Pasquale ‘o minorenne (da qualche anno all’ergastolo).
Una brutta pagina di criminalità , che sporcherebbe così il l’onestà dell’Arma.
Ai domiciliari per corruzione sono andati i carabinieri Michele Mancuso, Angelo Pelliccia, Raffaele Martucci, Vincenzo Palmisano e Corrado Puzzo (il gip esclude l’aggravante mafiosa); l’ex presidente del consiglio comunale di Francesco Di Lorenzo; oltre al boss Pasquale Puca. Un anno di interdizione dai pubblici uffici nei confronti di Vincenzo Di Marino, indagato per rivelazione del segreto d’ufficio e omissione; il capitano Daniele Perrotta, che deve difendersi dall’accusa di omissione di atti d’ufficio; e Carmine Dovere, indagato per abuso d’ufficio. Anche per loro è stata esclusa l’aggravante mafiosa. Per i cinque ai domiciliari, la Procura farà ricorso al Riesame, per ottenere gli arresti in carcere, mentre conviene ricordare che le indagini sono state condotte dagli stessi carabinieri, in sinergia con la Procura. Uno scenario nel quale spicca con forza la figura del maresciallo Giuseppe Membrino, mai prono verso il clan, firmando denunce contro il boss e i suoi affiliati, mettendo a segno blitz nei cantieri. Dice di lui il pentito Lamino: «Era una persona perbene, non si è mai piegato». Tanto che nel 2009, subisce un attentato dinamitardo, con una bomba carta sotto l’auto, facendo scattare – per motivi di sicurezza – il suo allontanamento dalla stazione di Sant’Antimo. Anni prima aveva sequestrato un capannone dove il boss stoccava rifiuti in modo illecito, bloccando incassi per 10mila euro al mese. In un’altra occasione, annotò sul taccuino i numeri di targa delle auto sotto la casa del boss, tanto che in quell’occasione Pasquale Puca se ne uscì con una frase carica di scherno: «Maresciallo, ho visto che vi piacciono i numeri, vi servono per giocarli al lotto?». Un crescendo di intimidazioni e segnali sinistri da parte della camorra dei Puca, sempre agevolati dalla presunta connivenza dei suoi colleghi, gli stessi che avrebbero dovuto proteggerlo. Secondo il pentito Lamino, i due militari Martucci e Palmesano «furono costretti a giustificarsi con il boss Puca per una perquisizione fatta sotto la sua abitazione», dal momento che «non era possibile fare nulla, vista la presenza di Membrino, maresciallo integerrimo».
fonte Il Mattino di Napoli