Giovane, sportivo. Emanuele Renzi è morto in ospedale, a Tor Vergata, in terapia intensiva dopo 6 giorni di Coronavirus. E’ la prima vittima giovanissima nel Lazio. Le sue condizioni sono andate peggiorando con il tempo. Era di ritorno da un week end in Spagna. L’8 marzo scorso è tornato a Roma da Barcellona. Le sue condizioni di salute sono poi peggiorate. Non è chiaro se avesse già sintomi durante il suo viaggio di piacere. Il padre e la madre sono ancora sconvolti. Non ha neanche salutato il figlio piccolo.
Il ricordo di genitori
Emanuele era un papà separato, aveva un figlio di 6 anni, che aveva lasciato ai nonni a Cave. La mamma Franca ripercorre gli ultimi momenti di vita del figlio: «Era tornato lunedì 8, no, non stava male, i giorni successivi si è sentito peggio e ha chiamato il 118, troppo tempo è passato, ora è morto». Asintomatico o meno, Emanuele dunque è andato al lavoro e a questo punto dovranno essere sottoposti a verifiche tutti i colleghi con cui è venuto a contatto nel call center di Settecamini. Oggi fanno sapere dall’Unità di crisi della Regione sarà svolto un sopralluogo della Asl Rm2 presso il call center per una prima indagine epidemiologica.
Le attività sportive
Il giovane uomo viene descritto come uno sportivo. Aveva a lungo fatto nuoto agonistico, ricorda la mamma in lacrime, poi si era dato al basket, sempre a Cave, sempre a livello agonistico. «Quando si è sentito male ha chiamato il 118, ha cominciato ad avere la febbre. Gli hanno detto di stare a casa, ma le sue condizioni peggioravano, è arrivato lunedì in ambulanza a Tor Vergata, ieri sera è morto. Prima in una situazione stabile che si è poi aggravata, una crisi respiratoria se l’è portato via». Un dolore troppo grande, perdere un figlio così in pochi giorni senza poterlo vedere, senza stargli vicino. «Non ha mai fumato, era un salutista, faceva sport, non prendeva medicine. E se ne è andato così. In viaggio era assieme a degli amici, anche loro stanno in quarantena, stanno tutti bene». Dice anche il papà Guglielmo, ex direttore della metro A: «Era sanissimo, non fumatore. Nessuna malattia».
Non era ancora passato a salutare il figlio, rimasto con i nonni Franca e Guglielmo, poi non si è sentito bene e ha evitato ogni contatto. A quanto pare Emanuele era tornato a lavorare ma non si è sentito bene, ora tra i 4mila dipendenti della Youtility service è scoppiato il panico, giustamente. «Non siamo stati avvisati fino a quando non è morto». Da oggi e per alcuni giorni resteranno tutti a casa.
Il dramma in paese
La notizia della morte del giovane ha sconvolto la comunità di Cave. A darne comunicazione ufficiale la pagina social Città di Cave con un messaggio: «Apprendiamo, con profondo dolore, della notizia della scomparsa del nostro giovane concittadino Emanuele, residente a Roma, colpito dal Covid-19. A nome di tutta la Città di Cave, siamo vicini ai familiari a cui si esprime sentito cordoglio». Il sindaco Angelo Lupi: «Siamo sconvolti. Sono molto legato ai genitori di Emanuele e proprio ieri, saputo della malattia, avevo parlato con il padre che era incredulo e scosso per questa vicenda». Sotto al messaggio del Comune, in centinaia, con un saluto o un pensiero, ricordano questo ragazzone, sempre sorridente, che aveva giocato per anni nella squadra di basket del paese. Ed anche Youtility center ricorda con «estremo dolore e cordoglio la notizia della morte dell’amico e collega Emanuele», stringendosi «intorno alla sua famiglia con un caro e sincero abbraccio».
La morte di Emanuele, che soltanto l’autopsia disposta dalla Asl dirà con esattezza da cosa sia stata determinata, a Cave non desta preoccupazioni, visto che dal suo ritorno in Italia non aveva avuto modo di incontrare familiari e amici, ma sul posto di lavoro getta molti colleghi in uno stato di tensione visto che, a quanto pare, prima di chiamare il 118 ed essere portato in ospedale, il giovane si sarebbe recato al lavoro per due giorni, il che esporrebbe i colleghi a rischio contagio.
fonte IlMessaggero