Perché 41 anni dopo la storia si ripete, uguale. Ma c’è ancora spazio per sperare in un esito diverso. Che il piccolo Ryan, cinque anni, precipitato mentre giocava in un pozzo largo 30 centimetri e incastrato a 32 metri di profondità, a un passo da casa, possa uscirne vivo.
La protezione civile marocchina sta facendo tutto il possibile per salvarlo. Ma lì, a Tamrout, vicino alla “città blu” di Chefchauen, sulle montagne del Rif, nell’entroterra d Tangeri, il terreno è roccioso, difficile da perforare. E la clessidra della vita del piccolo Ryan si consuma, inesorabile, nel buio, nel freddo. Il suo volto ferito inquadrato dalle microcamere calate nel buco è entrato in tutte le case, da due giorni e due notti il Paese è sgomento. E spera.
Gli speleologi marocchini hanno tentato di calarsi nel pozzo, come fece Licheri, l’angelo di Alfredino, ma non c’è stato modo per un adulto di scendere dove a malapena è passato un bimbo: sul fondo il pozzo si chiude fino a venti centimetri di diametro.
Stanno scavando il fianco della montagna, alla luce delle fotoelettriche, con cinque ruspe, nel tentativo di aprirsi un varco, come avevamo provato noi nel 1981, arrivando però troppo tardi. Nel tardo pomeriggio di ieri gli escavatori sono arrivati a una decina di metri dal bambino. «Siamo vicini», dicevano i soccorritori. Il momento più delicato, perché basta uno smottamento a chiudere la vicenda nel peggiore dei modi. Come a Vermicino.